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Alì Baba – Compagnia Carlo Colla e figli

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Ho varcato la soglia del palcoscenico del teatro, con qualche ora di ritardo e per colpa di un brutto risveglio. La compagnia aveva cominciato ad allestire lo spettacolo da un pezzo. Chi montava gli scenari, chi mi chiedeva cortesemente di non stare nel mezzo. Qualche saluto indifferente. Burattinai seri. In scena Alì Baba. Compagnia Carlo Colla.6
Nel cartellone della Compagnia di Carlo Colla e figli, solo per citare qualche titolo, Trovatore, Aida, Shéhérazade e Pétrushka. Da un lato del palcoscenico gli uomini intenti a montare gli scenari e in disparte dal gruppo, due donne che tirano fuori i burattini sdraiati dentro i bauli. Li “svegliano” con infinita pazienza, sbrogliandoli gli uni dagli altri. Li ricompongono come fanno le madri, con i figli al mattino.34
Sguardi che si incontrano compiaciuti. Le smorfie delle bocche, ed occhiate moleste sotto il profilo degli occhiali. Nell’aria un odore dolce di stoffa, di juta, di un qualcosa che è rimasto lontano. E quella straniata dolcezza che ispira un burattino a cui manca la parola e a cui verrebbe da dire, perché non ci parli ?27
Una terza donna un po’ defilata, porge il capo della stecca ad Eugenio, il patron, che seduto e infortunato ad una caviglia, cita, controlla e riprende paterno tirando le fila. Pian piano dalle numerose scatole escono fuori 120 raffinati personaggi.61
Alì, Morgana, Kassim, tre pecore e tanti asini. 40 ladri e un dromedario, dei canarini ed una voce narrante. E’ il burattino che riassume la storia. Quando son spente tutte le luci, entra in scena con un piccolo teatrino illuminato attaccato al collo. Evoca il teatro che lo sovrasta, e quello che in platea silenzioso l’ascolta.42
Racchiude i piani di un unico parterre. L’attore, la scena, il sogno. I burattini hanno barbe vere, capelli veri, età da briganti, occhi taglienti. Figuranti di strada e teste intagliate nel legno di tiglio. Un lavoro ossessivo e magnetico. Una volta sbrogliati li tengono appesi e fasciati dalle lenzuola, per tenerli buoni e perché non si perdano e non vadano in giro a combinare disastri.
Chiedo alle madri, se mai qualcuna di loro, si sia affezionata ad un personaggio in particolare . Io ne adocchio almeno un paio, che complice il buio, porterei via volentieri. Una pronta risponde, anticipando un pò troppo decisa le altre … no no sono tutti eguali per noi.54 copia
Era una domanda delicata, ma in famiglia accade spesso di sentirla. La terza da lontano sembra invece di parere diverso ma non riesco ad afferrare in tempo. Le solite preferenze. Gli uomini più in là, hanno quasi finito di sistemare gli scenari.
Un silenzioso glissare in su e in giù di scene rurali. Di chiostre e di notti stellate. La grotta dei ladri, i gioielli, e dietro in fondo per ultima, una macchina infernale che provoca il galoppo lontano, laggiù per fare terrore ai bambini. “Arrivano i banditi”.43
Non so bene cosa mi abbia spinto a venire fin qui. Io non ho ricordi di questo tipo, e non è di sicuro uno spettacolo per bambini. E’ uno spettacolo dedicato al candore di chi non rinuncia a sognare. Avrei solo una richiesta…nel blu del cielo notturno, per favore ci vorrebbero più stelle. Il resto è perfetto. Una delle tre donne, lamenta con piglio quasi sindacale, di non essere riuscita a vedere uno spettacolo dal lontano 1987. Perché come tutti i presenti, durante lo spettacolo muove i burattini. Decido di vedere solo il primo tempo dalla platea e senza fare foto, ed il resto dietro le quinte anche io insieme a loro. Solidarietà. Mentre lo spettacolo si avvia alla fine, e Margana fa la danza del ventre, in due in silenzio incominciano ad arrotolare i fili e riporre le marionette nel buio dentro le casse.
Gli va reso qualcosa credo, e questo è ciò che ho fatto per loro.PAO_8494
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White fish

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La barca scivolava via goffa e senza remi. Lui non poteva dirigerla, e sperava che si arenasse sulla spiaggia che si parava di fronte ai suoi occhi. Era prossimo ad un isola.

Una piccola insenatura apparecchiata davanti a lui, preludeva ad un crocchio di case sulla sinistra. Sulla destra un piccolo cimitero, con dei maestosi cipressi. Qualche palazzetto con un unico balcone al centro. Da uno di essi gli parve di vedere una donna intenta a guardare altrove, e nella quale notò una indifferente somiglianza con sua madre. All’interno alcune tende sventolavano grasse. L’acqua immobile, era verde smeraldo. Per raggiungere la riva ci mise ancora del tempo. Appena sentì toccare sotto la chiglia, saltò in acqua come se camminasse su degli spilli. Si era rimboccato i pantaloni per non bagnarli. Altri non ne aveva.

Proprio di fronte al cimitero, dove la barca aveva puntato da sola, c’era una doppia scala che affogava nell’acqua da un tempo inalterato. Una da destra e una da sinistra. Affioravano dal peso dell’acqua entrambe intrise di melma e di alghe. La percorse a mani alzate per centrare l’equilibrio e quasi in segno di resa. Si volse poi scalzo, verso il piccolo cancello di entrata, da sempre spalancato sui vivi.

Nessun fiore fresco, nessuna presenza. Fu subito attratto da una tomba con una lapide a rilievo in fondo al viale alberato. Una enorme piovra scolpita nel marmo, stava stringendo con dei potenti tentacoli una barca avvolgendone il fasciame, blu e corrotto. Dalla barca fuoriuscivano dei piccoli pescatori terrorizzati, che erano nell’atto di saltare in mare per salvarsi. Erano vestiti tutti in maniera eguale.

Alcuni di loro, vedendolo sostare di fronte alla lapide, erano riusciti a saltare giù dalla barca. Gli corsero incontro, ma erano talmente piccoli, che non era in grado di capire cosa dicessero. Gesticolavano indicando la scena, e supplicandolo di dare loro una mano. L’enorme polpo, lo fissava torvo con un unico occhio posto frontalmente, mentre i tentacoli stringevano la barca, oramai completamente in suo possesso. Gli bastò fare un passo, che l’animale cominciò a ritrarsi, e una dopo l’altra, le lunghe braccia coperte di ventose, svanirono ipnoticamente nell’algida lastra.

Per ultima, la testa e poi l’occhio furioso.

I sopravvissuti, giacevano esausti. Alcuni erano seduti sulla lapide con le braccia diritte e i palmi aperti, e si godevano il tepore del marmo , e quello di una ritrovata vita. Toccata dal sole, l’acqua salmastra di cui erano zuppi, lentamente si asciugava sulla superficie biancastra, evaporando a vista d’ occhio. Due di loro gli corsero incontro. Uno dei due, si arrampicò rapidamente attaccandosi ai pantaloni, e rimase affacciato con il corpo al caldo, dentro la sua tasca destra. L’altro più giovane, salì fino al collo e allargando le braccia riuscì solo a pizzicare la pelle, lasciandoci un bacio.

Rivolse lo sguardo verso il piccolo villaggio, dal quale ancora non vedeva arrivare alcun segno di vita. Camminava lentamente, appoggiando i suoi timori alle cantonate. Imboccò l’unica via di entrata e si fermò di fronte alla prima casa che trovò alla sua destra. L’uscio era aperto, un odore caldo ne usciva deciso. Varcò la soglia. Era la casa che aveva sempre desiderato. Calpestando l’impiantito, composto da grandi pietre levigate, entrò in una vasta cucina. Un pavimento lucido e diseguale. Un soffitto basso, pareti dimenticate, mobili vecchi e sfiniti.

Nessuna suppellettile, e un grande lavandino in pietra di fronte al quale una anziana donna, silenziosa e di spalle, era intenta a preparare un pranzo. Un flebile scroscio di acqua, interrotto dalle mani, puliva il cibo che lei non aveva mai amato preparare.

Indossava una vestaglia blu che lui, conosceva assai bene. Pensò, si disse, che quella potesse essere sua madre mentre era intenta a preparare il suo pranzo. Lei annuì nello stesso momento in cui quel pensiero si affacciava nella sua testa. Senza voltarsi e senza parlare, e con un gesto di cui a lui parve di capire completamente il senso. Si sedette a capotavola, di fronte al silenzio dell’unica porta finestra, dalla quale si vedeva il mare. La barca svogliatamente custode della sua speranza, non si era ancora arenata. Ad ogni onda che si scaricava sulla riva, corrispondeva il suo ciondolare scomposto. I pescatori a capo chino, con un timore quasi reverenziale, lo avevano seguito fin dentro la casa in silenzio. Si erano stesi in cerchio di fronte a lui sul tavolo. Il più sfrontato si fece avanti e gli chiese di raccontare loro una storia. Guardandoli con attenzione, uno dopo l’altro, si schiarì la voce e gli raccontò la storia del pesce bianco.

Si trattava di un pesce realmente vissuto. Era di un colore bianco candido, ed era l’unico ad essere cosi. Era molto grande ed elegante. Un giorno fu tratto in una rete di pescatori, in un isola lontana, simile a quella in cui si trovavano in quel momento. Quando fu sbrogliato dalla rete, si rivolse gentilmente ai pescatori parlando la loro lingua. Chiese loro perché lo avessero pescato, e soprattutto, che diritto avessero di ucciderlo, e se questo fosse unicamente per soddisfare il loro palato.

Loro rimasero terrorizzati dall’idea che un pesce parlasse, ed interpretarono questo, come un ammonimento fatale.

Guardando i pescatori che erano sul tavolo, e che lo ascoltavano attentamente, disse loro che la piovra era stata la loro punizione. Anche se sapeva benissimo, che avrebbero continuato a pescare. Interpretò il silenzio della donna, sempre voltata di spalle, come una approvazione. Lei senza voltarsi, fece per uscire dalla porta, lasciando sul piano di marmo, i piatti con il cibo lavato, e in altri quello già pronto da mangiare. Aveva finito. Lui sentì il desiderio di parlarle e di essere corrisposto. Inutilmente. Con una mano appoggiata allo stipite sinistro dell’uscio, mentre con l’altra cercava nel vuoto l’equilibrio, la donna si diresse verso la spiaggia con una flemma claudicante, e senza mai voltarsi, scomparve dalla prospettiva. Svanì.

I pescatori le corsero dietro, convinti che fosse nella barca, che staccatasi dalla riva era quasi in mare aperto, trascinata via dalla corrente e dal mare che incominciava ad incresparsi. Gettarono inutilmente la rete per riprenderla.

Quando sentì alle sue spalle un brusio. Un coro muto gli parve provenire dalla stanza accanto.Ne aprì l uscio, e vide sua madre che lo guardava e gli sorrideva, felice di avergli fatto uno scherzo, di cui non riusciva a capire il senso. Era in piedi, in mezzo ad un semicerchio di donne sedute tutte nella stessa posizione, e a cui stava dicendo qualcosa. Avevano le bocche cucite da uno spago morbido e sottile. Lei serena in piedi tra loro, guardandole in alternanza, spiegava che la colpa era di tutti. Erano le mogli dei pescatori. Quelle che avevano cucinato il pesce bianco

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07Feb.2015

Zastava Orkestar

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Imagine a band of twenty wild musicians in a procession. Imagine them coming down a dark alley on a summers night.
With lots of people on balconies and against the walls to let them by.
To noisily enter a square, nearly marching, one of those squares with the walls drenched in the moonlight of a Julys full moon.

Imagine the furtive looks between them as, holding hands they form a circle to keep the greedy and hungry crowd at bay.
And they haven’t even began.

Imagine a sudden silence and the trumpets blowing, while a girl holding batons with flaming ends, spreads the smell of kerosene and flames to keep the onlookers away as if they were hungry wolves.
In the center sits Bubo, the oldest, keeping time he taps his foot patiently, gently, and watches the crowd knowingly. He is already sweaty and tired, in a short while the square will no longer be the same.One square, one uproar.
All of a sudden a trumpet solo, and then all together searching for a riot of notes.
And the crowd hit with a shiver, relax and enjoy.
Shouts with a touch of drunkenness, people pushing, unleash and wish to make love to the sax and burn in the fire.The sax turns and sends them away scolding them with notes.Low and sensual, curvy like the flesh of a bed.
A man with a red rimmed black hat stands in the middle, giving orders and while spitting fire up to the sky, the music bursts out.

This is Zastava Orkestar

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Daria Bignardi vs Signorini

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Gentilissima Daria Bignardi,
Le scrivo a seguito della puntata televisiva da lei condotta questa settimana, e all’intervento del Sig. Signorini. Non guardo mai la televisione, e raramente mi capita di seguire qualche talk show. Letterman in assoluto è il mio preferito tra i possibili. E lei. Ricordo in passato di aver vista qualche sua puntata, e qualche memorabile intervista, degna di essere accostata al titolo e al film, per cui il rimando della sua trasmissione, si era dimostrato pertinente e inevitabile, sin dall’inizio della serie.
E’ veramente un caso che io prenda carta e penna per scrivere, ma la solitudine in cui vivo, mi rende indispensabile questo atto. Sono di carattere difficile, per la vita che ho condotto, e non certo per essermi meritato tale. Per essere chiari e sintetici, quanto possibile, ho trovato la sua intervista al Signorini veramente sgradevole. E vado ad elencare le mie motivazioni.
Tra tutte le cose che non mi sono piaciute, senza nulla togliere ovviamente al Signorini il diritto di esporle e di affrancarsi dal suo passato, ho trovato veramente obliqua tutta quella parte che ha riguardato le scelte sessuali del suo intervistato. Mi chiedo, senza retorica, cosa a noi possa interessare (spero ovviamente senza la presunzione di essere stato il solo, ad aver quanto meno avvisato disagio ) circa le prime esperienze pratiche del Signorini, e sono rimasto infastidito dalla insistenza, ma soprattutto da quell’ostentazione che voleva parafrasare la sua presunta libertà di espressione, circa le sue prestazioni, e che si evince dalla quantità di dettagli, che lo stesso ci ha fornito. Non riesco a capire infine come una persona, oggi possa definirsi sulla base delle sue scelte sessuali. Questo può rappresentare un valore sul quale postare il proprio posto al sole?
Perché mi chiedo, quanto sarebbe stato interessante se il successivo ospite Dario Argento, ci avesse spiegato le sue iniziazioni al sesso ( come etero convinto e con la stessa dovizia di particolari ), se sarebbero state accolte con lo stesso interesse. E se lo avesse fatto, questo veramente avrebbe potuto avere una valenza di interessi da parte di chi ascolta ? NO.
E ci sarebbe sembrato fortemente inopportuno. Qui ovviamente non stiamo parlando delle tette della Gradisca, ma delle pugnette del Signorini, quanto a suo stesso dire, e delle sue tecniche solitarie.

L’errore palese sempre a mio giudizio, di molti omosessuali è proprio il bisogno di ostentare e di dichiarare la propria appartenenza, come un elemento indispensabile da propinare al prossimo, e sul quale far leva per…
So perfettamente di andare in controtendenza. E non me ne preoccupo, sebbene il mio curriculum sia sicuramente più variegato, ma ahimè, meno blasonato di quello di Alfonso.
Ma stento a credere che si possa accettare una persona, in quanto omosessuale, semplicemente perché per affermare questo suo sacrosanto diritto, abbia patito delle sofferenze, delle umiliazioni da parte della così detta, società civile. Tanto varrebbe essere celiaci, ipocondriaci, morti di fame o vivere in un seminterrato per definirsi a questo punto. Ma sicuramente con minori possibilità di ascolto e di pubblico.

Se la sceneggiata fosse stata imbastita da Busi per esempio, l’avrei accolta tout court.
Perché Busi è in primis una persona che esprime se stesso attraverso una complessità e una verve che Alfonso non sa cosa sia. Ma soprattutto perché Busi è contenuto e contenitore. E’ cosa facciamo di noi stessi per gli altri, ( e non a letto ) che fa la differenza per essere apprezzati o rifiutati nella vita, o come me ignorati. E’ dal nostro livello di capacità di tradurre il nostro percorso, dal nostro cercare di strapparlo alle nostre manchevolezze e inadeguatezze, e dalla capacità che abbiamo nel farlo che si vede chi siamo, la nostra preparazione, il nostro desiderio di esprimerci, e dalla profondità dello stesso che nasce la nostra differenza e bene augurabile diversità.
E veniamo in questo modo al punto anche più dolente. Il Signorini, ci dice che, e lo sappiamo bene , è direttore di una testata di gossip.
Una volta erano giornali che si trovavano in portineria o dal barbiere senza offesa verso quelle categorie. Ma è solo per sottolineare che stiamo parlando di riviste dedicate ad un pubblico che della curiosità ha sempre fatto una virtù, e che una volta letti venivano usati per ammazzare le mosche o riempire le scarpe quando si bagnavano.
Il Signorini oggi ce le ri-propina intrise di quel pettegolezzo tipico dell’ Italietta Badogliana e pressapochista che ci ha ridotto al punto in cui siamo, e su qualsiasi fronte abbia combattuto a quanto pare. Infiniti pruriti, e mentori di grandi bellezze hollywoodiane, ci suggeriscono che potremmo chiudere un occhio, ma io sinceramente li chiudo entrambi e non vedo neanche perché io debba prendere in considerazione l’attività del suo intervistato che una volta dismessa, pare tra 5 anni, al contrario di Busi, non lascerà traccia alcuna.
Ci dice, sempre lui, di aspirare al silenzio una volta finita la sua saga dei suoi inutili mastruzzi editoriali. Questo mi pare sia stato l’unico momento di gloria di Alfonso, che è sembrato, finalmente percorso dal fremito di una fragilità umanamente impeccabile e toccante.
L’intera operazione è parsa alla fine, imposta e suggerita come a far passare un personaggio colorito, mostrandoci semplicemente il suo scialbore e la mediocrità delle sue prestazioni. Anche quelle onanistiche, di cui il nostro già stressato inconscio avrebbe fatto volentieri a meno, a scanso di visualizzazioni veramente poco stimolanti da un punto di vista erotico, stimolandoci a trascorre “quella ventina de minuti de trasgressione”, che tutto è stato men che una boccata d’aria.
Sapere se Dudù è gay non ci ha rallegrati in nessun modo, e tantomeno sapere delle bisbocce con la di lui padrona, a suon di bottiglie di amaro. Tutto questo veramente deprimerebbe, anche senza condizionale, l’esistenza di qualsiasi ascoltatore che avesse a cuore la sua salute mentale e il suo credo personale, sempre che ne abbia uno, e sappia dove alloggi.
Il massimo è stato toccato, quando lei, finalmente, le ha fatto notare al Signorini come non potesse lamentarsi,mi pare, delle “invasioni” nella sua privacy e del suo compagno noto senatore Pdl , dopo aver passato una vita a ficcanasare nelle vite altrui. Alfonso, visibilmente in difficoltà è parso essersi reso conto di quanto ci sia superfluo in veste di direttore. In questo, lei è stata infinitamente Daria, e la ringrazio, ma è stato solo il passaggio di una cometa.
La recherche Studio © 2015